Brain Computer Interface per dispositivi indossabili: un alleato per lavoro, riabilitazione e formazione 4.0

La ricerca è indirizzata alla Brain Computer Interface per dispositivi indossabili perché convinta della sua utilità sia negli ambienti lavorativi che in quelli medici e non solo. Tuttavia, per comprendere gli effetti e i benefici, nonché per ottimizzare dispositivi e strategie, è fondamentale contare su strumenti in grado di misurare puntualmente effetti e benefici.

Su questo è attivo ARHeMLab, laboratorio di ricerca che afferisce al CIRMIS – Centro Interdipartimentale di Ricerca in Management Sanitario e Innovazione in Sanità, presso l’Università degli studi di Napoli Federico II.

Nel laboratorio di ricerca si sta lavorando sulle potenzialità di impiego di una particolare forma di interfaccia neurale per monitorare lo stato mentale (condizioni di stress, emozioni o altro) degli individui attraverso l’impiego di strumenti semplici e portatili, sfruttando i segnali di un elettroencefalogramma (EEG) con pochissimi elettrodi.

Sia che si tratti di un lavoratore a rischio di stress, o di un paziente in riabilitazione poco collaborativo, o di uno studente scarsamente coinvolto dai contenuti didattici, il sistema riconosce dal tipo di onde cerebrali prodotte una condizione di allerta per la quale attivare opportune contromisure.

Dai risultati finora conseguiti al Lab si è raggiunto in molte applicazioni un’attendibilità superiore al 90%. Lo strumento di misurazione impiegato assume spesso la forma di un caschetto con pochi elettrodi che permettono di valutare segnali preziosi e aprire opportunità notevoli sia in campo industriale, riabilitativo che pedagogico e didattico.

Brain Computer Interface passiva: caratteristiche e vantaggi

L’adozione della Brain Computer Interface (BCI) parte dallo studio e applicazione delle interfacce neurali quale tramite tra cervello e dispositivi elettronici. Per la precisione, spiega il professor Pasquale Arpaia, direttore del CIRMIS e Scientific Manager dell’ARHeMLab.

Essa riguarda la possibilità di interfacciarsi direttamente con personal computer o con sistemi di automazione industriale direttamente con onde celebrali, quindi senza necessità di altri dispositivi. Questo è possibile mediante un elettroencefalogramma con pochissimi elettrodi secchi, dotati di sistemi di microelettronica, condotto avvalendosi di un dispositivo indossabile semplice come una cuffia senza fili

Gli elettrodi impiegati negli studi del Lab partenopeo vanno da due a otto, a seconda dell’ambito di impiego. Solo in un caso se ne usano di più. Comunque sia sono molto pochi, soprattutto se si considera che un EEG ad alta densità può richiedere almeno 64 canali.

La semplicità della strumentazione e la non invasività hanno posto le condizioni ideali per mettere a punto un ottimale wearable device e consentire così l’impiego della Brain Computer Interface per dispositivi indossabili.

Ma la BCI non è univoca: essa, infatti, può essere attiva, reattiva e passiva. Quest’ultima forma, rispetto alla reattiva (che reagisce a uno stimolo) o alla attiva (che nasce dall’immaginazione del soggetto), è legata alla misurazione dell’attività celebrale a livello elettrico o, meglio, elettroencefalografico.

Le potenzialità della BCI passiva sono notevoli perché i segnali ricavati da EEG sono potenzialmente ancora inesplorati. “La neuroingegneria sta facendo un enorme sforzo in questa direzione che si sta cercando di capitalizzare. In particolare si lavora sui segnali elusivi, difficilmente captabili, ma potenzialmente preziosi per migliorare ulteriormente la qualità delle informazioni“.

Il segnale EEG viene elaborato con sistemi di intelligenza artificiale in grado di estrarre informazioni salienti anche attraverso l’impiego di pochi elettrodi. In questo modo il sistema di EEG può ridursi a una comoda cuffia appoggiata sulla testa senza l’impiego di gel.

L’intelligenza artificiale troverà ancora più spazio d’impiego, dato il suo potenziale di uso nel processo di estrazione dei segnali, sotto forma di specifici algoritmi di machine learning, specie per affinarne l’elaborazione e andare a ottimizzare la loro raccolta. A tutto vantaggio dello sviluppo e ottimizzazione della Brain Computer Interface per dispositivi indossabili.

Brain Computer Interface per dispositivi indossabili: sul lavoro si misura lo stress

Il laboratorio di ricerca ARHeMLab (Augmented Reality for Health Monitoring Laboratory) ha rivolto la propria attenzione nella sua prima applicazione di Brain Computer Interface per dispositivi indossabili al monitoraggio delle condizioni di stress sui lavoratori a contatto con i cobot.

Nonostante questi robot collaborativi siano concepiti per lavorare insieme all’uomo, agevolandolo, si è notato che talvolta nel lavoratore subentra una condizione di stress da competizione. Noi misuriamo il livello di stress con un’accuratezza del 90% e impiegando una tecnologia low cost: la cuffietta prototipo costa solo poche centinaia di euro” specifica Arpaia.

Solitamente lo stress si misura mediante l’interazione di più segnali – battito cardiaco, conduttanza cutanea ecc. – e molteplici sensori.

Come spiega Nicola Moccaldi, ricercatore senior di ARHeMLab, il team di ricerca si sta concentrando non solo a utilizzare esclusivamente l’EEG, ma anche a ottimizzare il suo impiego. Per esempio, sta cercando di ridurre la presenza degli artefatti oculari, che possono contaminare l’EEG, mediante asimmetria frontale.

Tale fenomeno, noto in letteratura clinica, identifica una differenza di comportamento elettrico, tra l’emisfero destro e sinistro e che si manifesta più sensibilmente nella zona frontale. Ponendo due elettrodi sulla fronte del soggetto, è possibile apprezzare una differenza di segnale più accentuata se il livello di stress è più elevato.

L’importanza delle interfacce neurali per il gaming

La finalità della ricerca sulla Brain Computer Interface per dispositivi indossabili è ad ampio spettro. C’è una forte richiesta del mercato di misurare l’engagement, termine traducibile come coinvolgimento attivo, sia in funzione delle più avanzate competenze per la formazione, in ottica Learning 4.0, ma anche in ambito di riabilitazione pediatrica – evidenzia Arpaia. L’obiettivo, in ambito gaming in particolare, su cui si punta sempre più è stimolare attenzione e valenza emotiva positiva. I produttori di nuovi videogiochi vogliono comprendere in tempo reale e in misura oggettiva e non invasiva se il giocatore è coinvolto attivamente o meno». Il gioco può avere non solo uno scopo ludico ma anche un fine educativo: stiamo parlando, in quest’ultimo caso dei serious games, il cui potenziale di mercato è previsto in notevole crescita.

Tali applicazioni trovano spazio anche nella riabilitazione clinica per quelli che vengono chiamati esercizi di exer-gaming, con cui si connotano i videogiochi che hanno anche una funzione di esercizio fisico.

L’engagement è importante anche in ambito lavorativo per la possibilità di misurare il coinvolgimento attivo del lavoratore, particolarmente importante in caso di lavori ripetitivi o abitudinari.

Engagement, distrazione e valenza emotiva: gli orientamenti della ricerca

Il team del Lab legato al CIRMIS ha lavorato, in particolare, su due fronti d’interesse per l’engagement: la distrazione e la valenza emotiva. “Nel primo caso si è messo a fuoco la misura della distrazione durante la riabilitazione robotica passiva. Nei casi di gravi condizioni mediche, come l’ictus, la funzionalità di un arto colpito viene ripristinata mediante l’adozione di un robot che lo muove al posto del paziente. Se il paziente partecipa in modo proattivo alla terapia, i risultati sono notevolmente più sensibili in termini di recupero, come dimostrano evidenze scientifiche“. Quello che si intende cercare di mettere a punto sono exer-game adattativi, in grado cioè di adattarsi al reale livello della persona, partendo dalla sua attenzione o distrazione.

Riguardo, invece, la valenza emotiva, sempre mediante l’impiego della Brain Computer Interface per dispositivi indossabili, in particolare sotto forma di un caschetto provvisto di solo 4 elettrodi, è stato possibile comprendere e misurare il coinvolgimento attivo nel caso di impiego di social robot per la riabilitazione emotiva di bambini autistici.

Anche in questo caso si è dimostrato un grado di accuratezza dei dati maggiore del 90%, soglia da cui è possibile pensare a un trasferimento tecnologico per lo sviluppo industriale.

C’è poi l’ambito, sempre più interessante, della formazione 4.0. A questo proposito sono state sviluppate due soluzioni di misura dell’engagement in grado di adattare il livello a quello del discente, non solo alle competenze ma anche alle valenze emotive e attentive.

Questo significa che è possibile mettere in atto soluzioni in grado di riportare l’attenzione al giusto grado o di riuscire a aumentare il coinvolgimento, valutando in tempo reale quanto accade.

Infine, sempre a proposito dell’impiego della Brain Computer Interface per dispositivi indossabili, si lavora anche a misurare il giusto grado di coinvolgimento in riabilitazione pediatrica, focalizzandosi sul rilevamento simultaneo di due tipi di engagement (cognitivo ed emotivo).

In questo caso, l’accuratezza è più bassa, attorno al 70%, e per questo si pensa di introdurre tecniche di AI per riuscire a ottimizzare misure e risultati” specifica lo Scientific Manager di ARHeMLab.

Impatti e prospettive

Sulle potenzialità di impiego della Brain Computer Interface si prospettano scenari positivi e altri decisamente da considerare. Nel primo caso, ci sono i benefici portati dalla possibilità di venire a conoscenza in tempo reale, da parte del sistema di misura, di stati d’animo che possono essere colti con estrema precisione.

Ciò può essere sfruttato positivamente sia nei casi di distrazione sia durante compiti che necessitino di valenza positiva.

L’aspetto su cui si deve fare un’attenta considerazione sono gli scenari in cui si potrebbe perdere il controllo dell’analisi dei dati e la privacy degli stati cognitivi ed emotivi. Questo rappresenta un serio pericolo su cui si deve intervenire in campo etico e legislativo”.

Per intervenire prontamente su questi casi, il CIRMIS ha avviato da tempo una collaborazione con Istituti di ricerca europei nel campo del diritto dell’applicazione etica dell’AI e anche nella sua valutazione a livello giuridico.

Il futuro comunque sorride alle potenzialità della Brain Computer Interface per dispositivi indossabili sia in chiave passiva che attiva. “Nel primo caso ci si orienterà sempre più sull’integrazione di criteri adattativi su sistemi didattici e interattivi – conclude Arpaia – Nel campo del BCI attiva si assisterà sempre più all’integrazione tra mondo umano e digitale, tra uomo e macchina, in una relazione che sia rispettosa e sostenibile dal punto di vista etico e giuridico”.